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La psicosomatica, formata da Psiche (in greco Anima) e Soma (in greco Corpo), implica la consapevolezza che non ci sia divisione tra l’uno e l’altra ma che siano semplicemente due diversi livelli vibratori della stessa energia.

 

Ogni disagio vissuto a livello fisico, mentale, emotivo oppure energetico è in realtà espresso contemporaneamente su tutti gli altri piani, anche senza esserne consapevoli. Non ha senso, pertanto, focalizzarsi esclusivamente sull’eliminazione di un sintomo che è soltanto la punta di un iceberg che attesta uno squilibrio generale che sta semplicemente chiedendo, grazie a quel sintomo, di ritornare alla sua armonia.

 

Qui mi fermo un istante, per sottolineare un punto importante: quando si torna all’armonia, superando il disagio, in realtà non si torna al punto di prima ma si cresce. Più che di psicosomatica occorrerebbe parlare di olismo, dal greco Olos che significa Tutto. La visione olistica della vita prevede un approccio globale all’uomo come evento unico e unitario, le cui attività mentali, emotive, energetiche, spirituali e fisiologiche, malattie comprese, esprimono lo stesso senso.

 

Poniamo un altro tassello per avvicinarci a questo modo di intendere non solo il disagio ma, in generale, tutta l’esistenza: c’è differenza tra parlare di significato della malattia e di senso della malattia. Il significato si avvale di un sintomo (ad esempio il dolore alla pancia) che non è mai oggettivabile in quanto non è possibile misurarne con precisione l’intensità, che varia da individuo a individuo, e di un segno oggettivabile, ad esempio dolore alla palpazione. Dato un quadro di sintomi e di segni è possibile procedere con una diagnosi che fornisce la visione di significato della malattia, uguale per chiunque abbia gli stessi sintomi e gli stessi segni. Se tu, una tua amica, una bimba di quattro anni e un capo indiano di settant’anni accusate determinati sintomi che si esprimono attraverso identici segni definiti e misurabili, quei segni e quei sintomi indicano una determinata malattia, che per tutti sarà la stessa. Se il significato sarà il medesimo, il senso varierà tuttavia da soggetto a soggetto. Lo scopo della psicosomatica è appunto quello di individuare l’accezione specifica che il disagio ha per il singolo in un preciso istante della sua vita.

 

Per compiere questo salto semantico ci si deve spostare dal pensiero razionale, utile per la diagnosi del significato, a quello analogico, cioè dal pensare al sentire. Se si rimane nell’ambito della razionalità, corpo e mente resteranno separati, non comunicanti, perché il corpo non apparirà della stessa natura del pensiero. Ma muovendosi dal pensare al sentire si avvertirà la presenza di emozioni e sensazioni che avvolgono il corpo, dimostrando come mente e apparato fisico siano in realtà compartecipi. Pensiamo, ad esempio, a quando si ha paura: non ti è mai capitato di affermare “mi sento impaurito?”. Ecco che in quel sentire la paura ci si è già spostati da un piano in cui l’emozione è separata dal corpo a un altro in cui l’emozione si avverte proprio attraverso il corpo, come fosse divenuta parte integrante delle stesse cellule: non si ha più paura, si diventa paura.

 

Non ti è mai capitato di pronunciare, quando avevi paura, frasi del tipo: “mi sento gelare il sangue?”. Vedi come il corpo (il sangue che si gela) e il vissuto (la paura), compartecipi della medesima esperienza, si mostrano della stessa natura? Per ogni variazione del corpo è possibile percepire una variazione del vissuto, se si ha paura si avverte anche un corpo impaurito fino a percepire il sangue gelarsi. Non è questo un tipico caso di visione olistica, in cui ogni elemento del Tutto si trasforma insieme agli altri? In un corpo che sente gelare il sangue non ci saranno pensieri di leggerezza e di apertura e in quel momento la visione dell’esistenza non sarà delle più rosee.

 

Quando soffri di gastrite non ti limiti ad avere quei sintomi, ma tu stesso sei la gastrite, sei interamente gastritico nei pensieri, nelle emozioni, nel modo di rapportarti agli altri e alla vita. Ti relazioni costantemente in una dimensione digestiva perché il tuo bruciore allo stomaco è l’espressione fisica di un disagio a un altro livello, di un bruciore esistenziale. Forse anche il modo di parlare sarà gastritico, magari userai spesso frasi del tipo: “un’esperienza che mi brucia molto”, “sento un fuoco dentro”, “mi sento divorare”, “mi rode molto fare questo” e via dicendo.

 

Se in una visione di significato, allora, dal punto di vista della razionalità, la gastrite tua, della tua amica, di una bimba di quattro anni e di un capo indiano di settanta sono uguali, in una visione di senso sono assolutamente differenti. A te potrebbe suggerire il bisogno di lavorare sull’aggressività, per la tua amica la necessità di lasciare andare il controllo, per la bimba la paura di restare sola e per il capo indiano la stanchezza di avere responsabilità che non vuole più sostenere. A che servirebbe, pertanto, addormentare i sintomi della gastrite nello stesso modo? Sarebbe soltanto una via per rimandare il problema che poi, utilizzando segni ancora più drastici, si ripresenterebbe nel corso dell’esistenza. Sarebbe come strappare via dal quadro di comando la spia della benzina perché ci dà fastidio mentre stiamo guidando in autostrada.